Global March to Jerusalem. 30 Marzo 2012
30/03: la manifestazione per la GMJ nel sud del Libano |
Quando siamo arrivati in Libano sapevamo che sarebbe stato
arduo raggiungere la frontiera con la Palestina a causa della delicatissima
situazione interna, che risente direttamente della grave crisi
siriana.
Immaginavamo già, prima di arrivare, che le autorità libanesi
stessero subendo
formidabili pressioni internazionali affinché qui la GMJ fosse
depotenziata. Così è stato.
Nonostante gli sforzi del Comitato centrale libanese della
GMJ (i negoziati sul percorso della marcia si sono protratti per settimane), le
autorità libanesi, per questioni di sicurezza nazionale, hanno opposto un netto
rifiuto alla richiesta di manifestare ai confini della Palestina.
A pochi giorni dal 30 marzo era noto che saremmo potuti
giungere solo a Beaufort Castle (questo luogo ha un grande valore simbolico. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, OLP, ha tenuto il castello dal 1976 in poi e durante la guerra civile libanese è stato attaccato decine di volte dalle Forze di Difesa israeliane).
Almeno di buon mattino abbiamo ricevuto la notizia che le
delegazioni asiatiche ancora bloccate sulla nave, avevano ottenuto il permesso
di scendere a terra, e che, quindi, ci avrebbero raggiunto al completo sul
luogo della manifestazione.
Così è partita una carovana di 6 autobus addobbati a festa
con i colori della Palestina, cartelli, manifesti, tanti sorrisi e il segno
della vittoria in ogni foto. Diretti tutti
in fila alla volta del Sud Libano, attraversando le strade piene di curve e
affollate. A metà strada siamo stati enormemente rallentati da un posto di
blocco, l'odiosissimo check point. Ci siamo anche innervositi, perché abbiamo notato che macchine e camion
avevano la precedenza sui nostri pullman. Alla fine siamo riusciti a passare e giungere ai piedi
della collina sulla cui cima è abbarbicata la fortezza Beaufort.
Noi internazionali (dopo quelle asiatiche, la più nutrita la delegazione italiana) eravamo più di 200 persone, con i
palestinesi e i libanesi abbiamo riempito tutto lo spazio disponibile. Eravamo circa 6000, con tantissime bandiere palestinesi, con le sciarpe della GMJ. Dal palco
hanno parlato esponenti palestinesi e libanesi di varie associazioni ed alla fine un compagno indiano a nome della GMJ. Tutto si
è svolto pacificamente. Mentre eravamo lì, noi internazionali eravamo cercati
da tutti, chi ci chiedeva un’intervista, chi voleva solo riprenderci, chi
voleva una foto ricordo.
Alcuni di noi alla marcia globale in Libano |
Intanto ci arrivavano, dai compagni degli altri paesi in cui si svolgeva la GMJ, le prime notizie degli scontri in
Giordania e a Gaza. Ce lo immaginavamo. In quei territori si sono svolte delle
manifestazioni molto più combattive e convinte che in Libano. Abbiamo saputo
che persino Barghouthi è stato colpito alla testa da dei lacrimogeni.
Ci sentiamo indignati, avremmo voluto dimostrare ad Israele
che la nostra unione fa la forza, e ai palestinesi che non sono soli e non sono
mai stati dimenticati. La nostra solidarietà è totale e completa. Ciò che ci ha
lasciato basiti, in particolar modo, è stato apprendere come gli abitanti dei
campi e tutte le associazioni giovanili, specialmente di Ein el-Hilweh non
avrebbero partecipato ad alcuna marcia. Difatti non c’erano. Nei campi profughi
si è deciso di organizzare manifestazioni interne domani. Hanno considerato la scelta del luogo
in cui manifestare, lo svolgimento della cerimonia come un cedimento alle
pressioni internazionali, specialmente sioniste, delle istituzioni libanesi e
dell’esercito. Ad Ein l’obbligo di dover restare bloccati entro lo spazio
antistante il castello, è stato considerato una legittimazione della
risoluzione 1701 approvata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU nell'agosto del 2006, che istituiva, per la sicurezza di Israele, una fascia smilitarizzata tra il fiume Litani e Israele.
Ed è perché siamo pienamente consapevoli delle loro
ragioni che domani (oggi 31 marzo, ndr) assieme a loro, saremo per le vie di Ein el-Hilweh,
invitati a partecipare e a parlare dai loro microfoni alla manifestazione da
loro indetta dentro il loro carcere a cielo aperto.
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